Adorare non è cantare, né pregare, né prostrarsi. Non solo. Adorare è abbracciare il Padre per farlo esultare con canti di gioia.
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Cosa ti viene in mente quando senti la parola“adorare”? Il problema con questa parola nelle chiese evangeliche è che spesso è associato esclusivamente alla fase del culto prima della predicazione: “Adesso iniziamo con l'adorazione”.
Altre volte è associato ad un tipo di preghiera, spesso fatto a voce alta, occhi chiusi e mani alzate.
Altre ancora a quando le persone si inginocchiano o si prostrano a terra in “adorazione”;
ci sono decine e decine di dipinti che raffigurano quel santo o quell'altro in “adorazione”.
Ma è davvero tutto questo, oppure non è “solo questo” adorare Dio?
Mi viene da fare una domanda: “Ma a Dio serve davvero che io canti o che mi sdrai per terra?”
Secondo voi, Dio è davvero interessato a sentirci cantare oppure a vederci stesi per terra, o a sentire le nostre alte grida al cielo?
Sembra quasi che Dio sia un po' sordo, e gli serva di “sentirmi forte” per girarsi, oppure che si preoccupi di me solo se sono steso a terra o se grido ad occhi chiusi: “Si sarà mica fatto male?”
Quasi sembra che io sia “a caccia” di attenzione, che voglia “farmi notare”. Ma sarà davvero cosi? Sono io alla caccia di Dio... oppure è viceversa?
Pensate a come cambierebbe la situazione se l'adorazione non fosse un momento dove sono io ad attirare l'attenzione di Dio, ma Lui ad attirare la mia attenzione su di lui!
Perché dico che cambierebbe la situazione? Perché significherebbe che non sono io a cercare Dio, ma è lui a cercare me... Come sempre!
Vi ricordate come è iniziato tutto? Quando Adamo ed Eva si erano nascosti per la vergogna di aver disobbedito? Chi è stato il primo a muoversi per cercarli?
“Poi udirono la voce di Dio il Signore, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza di Dio il Signore fra gli alberi del giardino. Dio il Signore chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?»” (Genesi 3:8-9)
Dio non vuole giocare “a nascondino” con noi, e non vuole neppure che stiamo distanti da lui per troppo tempo. E' per questo che ha trovato un “canale diretto”, un luogo dove lui è sempre presente, disponibile, dove ci aspetta ogni giorno.
Quel canale, quel luogo si chiama, appunto, “adorazione”.
Ci fu una donna che chiese a Gesù dove fosse meglio adorare Dio: e Gesù gli rispose così:
“La donna gli disse: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato su questo monte, ma voi dite che è a Gerusalemme il luogo dove bisogna adorare». Gesù le disse: «Donna, credimi; l’ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori" (Giovanni 4:19-24)
Gesù risponde in una maniera chiara: “Non ti serve un luogo specifico, perché Dio è dappertutto... E, soprattutto , E' LUI CHE CERCA TE!”
Dio CERCA chi lo adori: quando pensiamo che siano il canto, la preghiera o il prostrarsi a portarci ad adorare Dio, siamo un po' come la donna al pozzo: stiamo pensando che, per adorare Dio, serve un “luogo”: dentro una canzone, dentro una preghiera, dentro una postura del corpo.
Intendere, non voglio scoraggiarvi dal cantare, o dal pregare con le mani alte o prostrati, sono tutte cose buone, e realmente servono a noi, non a Dio!
Dio ci conosce, sa come siamo fatti e sa che queste cose ci aiutano ad adorarlo. Lo ha scritto così tanto nel nostro DNA che è rimasto anche nelle persone che non lo cercano più, e che spesso dicono che Dio non esiste.
Il mondo è pieno di “adoratori”: chi adora un cantante, chi una squadra di calcio, chi il proprio lavoro, chi la propria moglie o il proprio marito.
Ma c'è una differenza sostanziale: né la rock star, né il calciatore, né il datore di lavoro... (e qualche volta né la moglie o il marito!) vanno alla ricerca di chi lo adori per avere un contatto personale e quotidiano. Se capita di incontrare un proprio fan, magari ci scappa un autografo... ma nulla di più.
Ma Dio, dice Gesù, è invece alla RICERCA personale, “ cerca tali adoratori” vuole passare tempo OGNI GIORNO con i suoi fan!
Il cammino di un adoratore non è tanto un “mordi e fuggi”, l'autografo strappato al concerto o alla partita, ma è un modo di vita. Riguarda lo scoprire il segreto dell'amicizia con Dio Non riguarda tanto il fare qualcosa ma riguarda piuttosto essere qualcuno, non “fare” l'adorazione” ma “essere” un adoratore.
Paolo ce lo spiega:
“E così, cari fratelli, vi esorto a dare i vostri corpi a Dio; che siano un sacrificio vivente, santo. Questo è il modo giusto di adorare Dio. Non adattatevi alla mentalità e alle usanze di questo mondo, ma lasciatevi trasformare da Dio con un completo rinnovamento della mente vostra. Allora sarete in grado, per vostra esperienza personale, di capire qual è la volontà del Signore; vale a dire: tutto ciò che è buono, perfetto è a lui gradito..” (Romani 12:1-2 BDG)
Vivere come un adoratore piuttosto che avere “momenti di adorazione”.
Cosa è “adorazione”?
Ho detto più di una volta che “adorare”: è una parola composta di origine latina, “orare” = parlare + suffisso “ad” = a, ovvero parlare a qualcuno.
Con chi ti piace parlare di più? Con le persone che disprezzi, o che non conosci, oppure con le persone che ammiri e che conosci bene? Di norma è più facile parlare se parliamo a qualcuno che “vale” per noi, qualcuno che amiamo!
Se adoro Dio, dunque, sto affermando che Dio “vale” per me adorare è perciò “parlare a qualcuno che vale che amo”.
Ma anche stavolta, siamo arrivati secondi! Non siamo noi ad aver amato per primi:
Giovanni dice che
“Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo.” (1 Giovanni 4:19 PV)
Perché Dio vuole la mia adorazione?
Abbiamo detto allora che non sono io che cerca attenzione di Dio adorando, ma che è Dio che mi a strutturato per adorare così da avere un rapporto costante con Lui.
La mia domanda è: “Perché?” Perché il Creatore del mondo vorrebbe la mia attenzione ogni giorno? Non ha altro da fare che parlare con me?"
Il salmo 8 dice:
“Quand'io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, che cos'è l'uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura?” (Salmo 8:3-4)
Che Dio, Creatore di tutto, ami un niente come me, veramente non ha senso! Non ha senso amare qualcuno che spesso sbaglia, il più delle volte fa di testa sua, continuamente delude.
Sono troppo duro? Ripercorri mentalmente la giornata di ieri, e pensa dove e quando non hai rispettato qualche regola che Dio ti ha dato. Ne vogliamo parlare? Un momento dove sei stato/stata scortese con qualcuno. Un semaforo giallo (o rosso!) visto come verde. Una scusa (una bugia!) per evitare di fare quella cosa che non ti va... Meglio non parlarne, eh!
Il figliol prodigo
E invece parliamone! Perché è Gesù stesso che ci da un esempio di come siamo fatti noi, nella famosa parabola che qualcuno (non Gesù) ha deciso di chiamare “Il figliol prodigo”.
Gesù racconta una storia di un'eredità anticipata; il figlio che chiede al padre i soldi il padre lo accontenta, il figlio se ne va.
Ma si sa, “Soldi non faticati finiscono prima di essere usati”. Gesù dice che, a un certo punto, dopo aver provato la fame il figlio “rientrato in se” capì lo sbaglio, prese la strada per tornare a casa, e lungo la strada fece tutto un progetto per come chiedere scusa. Senza sapere che, a casa, il padre non vedeva l'ora di riabbracciarlo di perdonarlo, e di riaverlo come figlio:
“Ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò.... Ma il padre disse ai suoi servi: “Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato” “ (Luca 15:20b, 23-24)
Gli mise scarpe nuove, lo vestì col vestito più bello, e gli diede l'anello che simboleggiava l 'appartenenza alla famiglia. Gli restituì dignità, identità, autorità
Un figlio che non è “prodigo”
Gesù non ha intitolato la storia “Il figliol prodigo”, perché in realtà “prodigo” in italiano non significava “essere spendaccione”, ma, dal latino “pro-agere”= spingere avanti” significa “donare con molta larghezza, dare tutto se stesso per aiutare gli altri”.
L'ho detto altre volte che fu l'errore di un tipografo francese, che nel 1551, per ammazzare il tempo durante un lungo viaggio in carrozza da Lione a Parigi, decise di mettere i numeri e titoli.
Nella storia, chi è che “dona tutto se stesso” chi è il “prodigo”? Non è certo il figlio, che prende sia la prima che la seconda volta. Ma il padre, perché “dona con molta larghezza”, la prima volta con tristezza la seconda volta con gioia, e “da tutto se stesso per aiutare il figlio”... che non se lo sarebbe proprio meritato.
Un mio amico pastore mi ha raccontato di aver assistito ad un padre che sollevava il suo figlio paralizzato e cieco durante un culto e gli cantava perché il figlio potesse sentire le sue braccia e sentire la sua voce. E il figlio, con uno sforzo immane, riuscì a sollevare un braccio solo per metterlo attorno al collo del proprio padre, e sorridere.
Penso che l'immagine di questo padre che canta affinché suo figlio disabile, incapace di vederlo, incapace di muoversi, ma solo capace di essere sostenuto e sfiorato, in qualche modo abbracciato, sia già stata descritta in un passo dell'Antico Testamento:
“ Il SIGNORE, il tuo Dio, è in mezzo a te, come un potente che salva; egli si rallegrerà con gran gioia per causa tua; si acquieterà nel suo amore, esulterà, per causa tua, con canti di gioia” (Sofonia 3:17)
Ecco, questa è l'immagine vera, quella giusta dell'adorazione! Non sono io che “canto” non sono io che “prego” non sono io che “mi inginocchio o mi prostro” ma è Dio che mi sostiene, mi canta, mi tiene in braccio quando sto adorando! E' Lui che esulta per me, con canti di gioia!
Quello che devo fare io, per adorarlo davvero, è sentire quelle braccia durante tutto il giorno, vivere alla sua presenza costantemente, non soltanto durante una canzone o una preghiera.
Noi, per Dio, siamo come quel figlio disabile, che il padre ama lo stesso, anzi, di più. Se fossimo perfetti, lui ci amerebbe, ma non avremmo bisogno costante di lui. Ma noi non siamo perfetti, anzi... siamo imperfetti, siamo peccatori.
E lui sa che abbiamo bisogno di sostegno non solo durante una canzone, ma lungo tutto il giorno, non solo durante una preghiera, ma sempre. E' un Dio che “esulterà, per causa tua, con canti di gioia”
Cosa farai?
Cosa farai, dunque, con un amore così? Farai come quel figlio, di cui parla Gesù, allontanandoti da lui, oppure “rientrerai in te” come quello stesso figlio e tornerai al Padre? Farai come quel figlio disabile che si aggrappa al proprio padre e sorride?
Cosa farai, oltre cantare una canzone a Dio? Cosa farai, oltre pregare una preghiera a Dio? Come farai a mettere il tuo braccio attorno al suo collo, per fargli sentire che, anche se sei disabile, paralizzato, e cieco, lo ami?
Paolo dice:
“...vi esorto a dare i vostri corpi a Dio; che siano un sacrificio vivente, santo....” (Romani 12:1a BDG)
Chiedi, e lui ti dirà cosa fare, come trasformare la tua vita in atto di adorazione costante a colui che è lì, davanti a te, e ti sorregge per poter esultare “per causa tua con canti di gioia!”
Preghiamo.
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