Gesù ti chiede di amare il tuo prossimo anche quando è difficile farlo, senza distinguere tra quelli che gradisci o meno, perché lui ti ha affidato il compito di essere colui o colei che porta l'olio della Parola che lenisce il dolore, il vino che disinfetta le ferite del mondo, le braccia che curano e il sostegno pratico per chi soffre assieme a te lungo la via della vita.
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Siamo all'ultimo passo della nostra partita per dare tutto a Dio, “all in”; abbiamo messo sul piatto “tutto il cuore”, il ragionamento, i pensieri, la logica, tutta l'anima, il corpo, la vita, la mente attiva e le azioni e ci siamo ripromessi di fare tutto ciò con una maggiore intensità, un livello di qualità superiore, e un'abbondanza superiore.
A molti può venire pensato: “ E beh, adesso si che sono un vero discepolo!” Ma per Gesù non basta.
La scorsa settimana, parlando della forza, vi avevo detto che tutta quella potenza, la potenza che trasforma una crocifissione in una resurrezione che ha aperto la tomba e fatto risorgere Cristo, non mi occorre per la MIA resurrezione; se ho creduto in Cristo io sono già salvo e quella resurrezione mi appartiene.
Ma mi serve per testimoniare di Cristo agli altri, affinché credano e partecipino insieme a me alla stessa resurrezione di gloria. Gesù vuole che lo faccia per tramutare la teoria nella pratica, il pensiero in un gesto, l'amore in una azione.
Gesù ci conosce, e sa che abbiamo bisogno di ordini esatti, dettagliati e precisi... e che anche in presenza di quelli, cercheremo delle “scappatoie”.
Che cosa è una “scappatoia?
Il vocabolario Treccani la definisce così:
Scappatóia s. f. [der. di scappare]. – Espediente, sistema astuto o ingegnoso, o anche solo provvisorio, per sottrarsi a un pericolo, per uscire da una situazione difficile o per non eseguire ordini o compiti sgraditi o gravosi.
Noi italiani siamo maestri nell'arte di trovare scappatoie, soprattutto quando si tratta di pagare le tasse: società con sede operativa a Lubriano ma sede legale in Lussemburgo; pagamento di consulenze fatte da un conto alle isole Kaiman verso un altro conto a San Marino; pranzi natalizi al ristorante con tutta la famiglia fatturati alla ditta come pranzo di rappresentanza... e così via.
Guardate la parte della definizione evidenziata: per non eseguire ordini o compiti sgraditi o gravosi.
Vi ricordate che Gesù stava rispondendo ad un dottore della legge che gli aveva chiesto quale fosse il più grande comandamento, vero?
Gesù gli aveva risposto non con uno, ma con due comandamenti:
“«Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua e con tutta la forza tua. Il secondo è questo: Ama il tuo prossimo come te stesso. Non c’è nessun altro comandamento maggiore di questi»...” (Marco 12:30-31).
Quali compiti ci da Gesù? Il primo è quello di avere un rapporto verticale, da basso verso l'alto; da creatura a creatore; amare Dio; e quello, per quanto possiamo provare non prevede scappatoie possibili.
Non posso inventarmi qualcosa tipo : ”Posso sostituire Dio con la mia macchina? O col mio lavoro? O con la mia squadra di calcio?” Qualcuno ci prova, a optare per queste “fedi alternative” ma se sono credente, non c'è nulla che possa sostituire Dio.
Il secondo è quello di avere un rapporto orizzontale, da uomo ad altro uomo. Ma su questo posso trovare un bel po' di “scappatoie”: la prima che viene in mente, la più semplice quella che venne in mente anche al dottore della legge è la seguente: “OK. Ma chi è il mio prossimo lo stabilisco io! Tutti quelli simpatici, tutti quelli amabili, tutti quelli della mia chiesa, tutti quelli della mia squadra, tutti quelli che votano come me... Ecco, quelli sono il mio prossimo... Va bene Gesù?”
Mi spiace per il dottore, ma la risposta, ovviamente, è NO! Vediamo perché.
Anche questa volta Gesù stava citando un passo della Torah, la Legge mosaica, e precisamente Levitico:
“Non andrai qua e là facendo il diffamatore in mezzo al tuo popolo, né ti presenterai ad attestare il falso a danno della vita del tuo prossimo. Io sono il Signore. Non odierai tuo fratello nel tuo cuore; rimprovera pure il tuo prossimo, ma non ti caricare di un peccato a causa sua. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il Signore.” (Levitico 19: 16-18)
Qui Dio fa usare a Mosè (che ha scritto Levitico) vari termini per indicare le persone che ciascun ebreo doveva rispettare ed amare: popolo, fratello, figli e prossimo.
La parola “prossimo” in ebraico è רֵיעַ reya‘ che deriva dal verbo רָעָה râ‘â ed era una parola a cui gli ebrei (popolo di allevatori) erano familiari perché significa “avere cura di un gregge”.
Dio stava dicendo a ciascuno nel suo popolo che avrebbero dovuto avere cura di coloro che incontravano lungo la strada della vita esattamente come avrebbero avuto cura di un gregge che gli era stato dato da portare al pascolo.
E, in un gregge, non puoi scegliere quale pecora proteggere, quale amare e quale prendere a bastonate: il gregge ti è stato affidato, devi proteggerle tutte. Nella mente degli ebrei quel versetto doveva suonare un po' così: “Amerai colui che ti è stato affidato in cura come un gregge come te stesso”.
Questo era quello che Dio aveva detto al suo popolo nei quaranta anni passati nel deserto. Ma, dall'epoca, erano passati diversi secoli, il popolo si era stabilito nella terra di Canaan, e dopo alti e bassi, regni divisi, ed altro, gli ebrei erano da secoli un popolo dominato da altre nazioni; prima dai Babilonesi, poi dai Persiani, poi dai Greci; all'epoca di Gesù dai Romani.
Quale era la “scappatoia” studiata dagli ebrei? Decidere QUALE fosse il loro prossimo; se fossimo entrati in una sinagoga dell'epoca avremmo potuto forse ascoltare qualche rabbino, o fariseo, o scriba dare un insegnamento tipo questo:
“La Parola di Dio dice: ama il tuo prossimo. Ma chi è il tuo prossimo? Levitico 19 ci dice di non diffondere calunnie in mezzo al tuo popolo … ma non dice niente sul diffondere calunnie dei gentili. La Torah dice di non odiare i tuoi fratelli israeliti ... ma niente sul non odiare i Romani. La Scrittura è chiara: non puoi portare rancore contro il tuo popolo ... ma puoi portare rancore quanto vuoi contro i Samaritani. Per cui, se il tuo prossimo è il tuo popolo, e devi amare il tuo prossimo per obbedire alla Legge, allora puoi benissimo odiare (anzi DEVI) chi non è del tuo popolo. Chiunque non sia ebreo può essere considerato un nemico”.
Gesù conosceva bene questi insegnamenti, ed è per quello che aveva detto in Matteo:
“Voi avete udito che fu detto: “Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano...” (Matteo 5: 43-44)
Ecco trovata la scappatoia: aggiungere alla legge di Dio (ama il tuo prossimo) la legge di “io” (odia il tuo nemico) che non era scritta nella Torah, ma era stata aggiunta dal cuore del popolo (e dai Sacerdoti).
Amare si, ma chi dico io: infatti, se leggiamo l'episodio nel vangelo di Luca vediamo che il dottore della legge, per mettere in difficoltà Gesù gli fa una domanda “trabocchetto”:
“Ma egli (il dottore della legge), volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» (Luca 10: 29)
Perché è un “trabocchetto”? Il dottore voleva che Gesù dicesse o che i rabbini avevano ragione e si poteva odiare il proprio nemico e così avrebbe smentito in pubblico un comandamento della Legge (era una bestemmia, punita con la morte per lapidazione), oppure voleva che dicesse di amare i Romani mettendosi contro tutto il popolo.
Vi ricordate la definizione di “scappatoia”? “Espediente per non eseguire ordini o compiti sgraditi o gravosi”; è quello che tenta il dottore della legge. Gesù sa leggere nel cuore e nella mente, e sapeva perché il dottore faceva quella domanda; come reagisce alla provocazione, al tentativo di “scappatoia” del dottore della legge?
Avrebbe potuto dirgli: “Il tuo cuore è duro, pentiti!” “Vattene da me, tu sei qui non per capire ma per giudicare” o qualcosa del genere.
E, invece, come sempre, Gesù sceglie un'altra strada: una strada che è la meno scontata, la strade di non rispondere lui al dottore, ma di far scoprire, e far dire al dottore della legge la risposta. Vediamo come:
“Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e s’imbatté nei briganti, che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, quando giunse in quel luogo e lo vide, passò oltre dal lato opposto. Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”. Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».” (Luca 10:32-37)
Avete visto cosa ha fatto Gesù? Ha “ribaltato” la situazione: abbiamo detto che per gli ebrei il “prossimo” erano quelli del proprio popolo, per cui “altri ebrei”. Gli “stranieri”, invece, erano tutti gli altri popoli, Romani, Gentili, Samaritani, e potevano essere odiati (secondo la legge di “io”).
Se fossi stato io ad inventare la storia, avrei preso come protagonista buono un ebreo che aiuta un samaritano nonostante sia uno straniero, e avrei detto al dottore: “ E' così che ti devi comportare come ebreo”.
E, invece, Gesù fa l'esatto contrario, creando un esempio devastante per un ebreo, ma che spiega come sia il cuore del Padre, Inventa una storia dove c'è un “uomo”: non dice se è ebreo, o no, è semplicemente un UOMO, un essere umano bisognoso. Dove ci sono dei cattivi, e dove c'è un eroe (con il dovuto rispetto sembra quasi un western!).
L'eroe della storia non è il sacerdote, e neppure il levita; non è ebreo l'eroe, che invece sono i cattivi, quelli che non dimostrano di amare il prossimo secondo il comandamento della Torah. Ma l'eroe è il samaritano, lo straniero, quello che gli ebrei odiano, scacciano, discriminano; è lui che obbedisce al comandamento di Dio!
Una storia dove il samaritano ha tutto da perdere, pur di aiutare il suo prossimo che non conosce nemmeno:
perde il suo pranzo: olio e vino diventano balsamo e disinfettante; perde la sua giornata di lavoro, rimanendo il giorno e la notte a curarlo; perde il suo danaro, pagando la stanza e gli extra al suo prossimo.
Cosa sta comunicando Gesù al dottore? Gesù gli sta dicendo: “
“Esiste una umanità, fatta di uomini e donne in disperato bisogno di aiuto, non importa se del tuo popolo o meno; tu che passi per strada sei tenuto ad essere “reya”, custode di un gregge non tuo, verso chi sta nel bisogno. Sarai giusto davanti al Padre mio, non se sei ebreo, ma se obbedisci al comandamento del Padre di amare il prossimo tuo come te stesso. Allora sarai il mio popolo.”
Amare il prossimo, tutto il prossimo, qualsiasi prossimo, non solo quello che mi piace, che è amabile, ma anche quello che non mi piace, che mi ha fatto male. E'un compito sgradito, un compito gravoso.
Gesù lo sa, e ce lo dice chiaramente:
“Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani?E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto?” (Matteo 5: 46-47)
Gesù ti chiede di essere רֵיעַ reya , di essere custode di un gregge non tuo, ma che il tuo Signore ti ha affidato.
Gesù ti dice che non puoi scegliere la pecora da amare e quella da odiare, ma che le devi amare tutte,
nessuna esclusa, anche quelle che ti hanno fatto male, anche quelle che non rispondono, anche quelle che fuggono e ti fanno faticare per riprenderle, perché il gregge non è tuo, ma appartiene al Tuo Signore!
Nel vangelo di Matteo è riportata una frase che Gesù ha detto nell'incontro con il dottore della legge:
“Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso”Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti».” (Matteo 22: 39-40)
Gesù dice:
“Prendi qualsiasi parte dell'Antico Testamento; puoi appendere ogni comandamento pronunciato nella Legge su uno di questi due comandamenti. Qualsiasi cosa che riguardi il tuo carattere, la tua vita, la tua adorazione,il tuo rapporto con Dio e ul tuo rapporto con gli altri debbono ricadere sotto questi due comandamenti. Se ne pratichi uno solo: “Amo Dio”, ma non l'alto “Amo il mio prossimo come me stesso”, non stai obbedendo né a mio Padre né a me!”
Paolo lo dirà in questo modo in Romani:
“Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso»L’amore non fa nessun male al prossimo; l’amore quindi è l’adempimento della legge.” (Romani 13:8-10)
Gesù ti chiede di essere רֵיעַ reya, custode del suo gregge.
La Bibbia afferma che, se credi in Gesù, sei straniero alla terra; il Salmo 119 dice :”Io sono straniero sulla terra” (Salmo 119;19 a) Non appartieni a questo mondo; Paolo dice in Filippesi: “Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli” (Filippesi 3:20 a) La tua cittadinanza è nei Cieli; e da cittadino dei cieli devi agire.
Gesù ti chiede di essere lo straniero al mondo, il samaritano che tutti guardano con sospetto, che talvolta odiano, ma che porta l'olio della Parola che lenisce il dolore, il vino che disinfetta le ferite del mondo, le braccia che curano e il sostegno pratico per chi soffre assieme a te lungo la via della vita.
«Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso... fa’ questo e vivrai». (Luca 10:27-28)
Preghiamo.
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