Cosa stai misurando per sapere se la tua vita è felice? Le tue sofferenze comparate con quelle degli altri, le cose che hai o non hai rispetto agli altri, o il rapporto che hai con il tuo Creatore, e le benedizioni del Regno che Dio ti assicura attraverso Gesù?
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Oggi vorrei parlarvi di “misure”? Come fai a misurare una cosa? Di solito, prendi un metro! E se non hai un metro?
Al negozio dove lavoro spesso mi capita di dimenticare il metro quando vado a tagliare qualcosa, tipo un tubo per l'acqua. Piuttosto che tornare indietro a prenderlo poggio il tubo da tagliare contro un'altra cosa di cui conosco la lunghezza, tipo un ripiano di uno scaffale che so essere lungo un metro.
Cosa ho fatto? Ho usato una cosa per misurare un'altra cosa. Tenete a mente questo esempio, e ci ritorneremo tra un attimo.
La scorsa settimana abbiamo visto come Adamo ed Eva hanno scoperto di essere nudi. C'è un altro libro dove il protagonista a un certo punto della sua vita si accorge di essere nudo.
“Nudo sono uscito dal grembo di mia madre e nudo tornerò in grembo alla terra...”. (Giobbe 1:21)
Il libro di Giobbe pare sia il più antico della Bibbia, ovvero il primo libro (non Genesi), e ci parla di un uomo ricco, che, ad un certo punto della sua vita, si trova a perdere tutto quello che ha:
“C’era nel paese di Uz un uomo che si chiamava Giobbe. Quest’uomo era integro e retto; temeva Dio e fuggiva il male. Gli erano nati sette figli e tre figlie; possedeva settemila pecore, tremila cammelli, cinquecento paia di buoi, cinquecento asine e una servitù molto numerosa. Quest’uomo era il più grande di tutti gli Orientali.” (Giobbe 1:1-3)
Giobbe era ricco sfondato: tutti lo conoscevano Non solo per i suoi soldi, ma anche per il tipo di persona che era.
“L’orecchio che mi udiva mi diceva beato; l’occhio che mi vedeva mi rendeva testimonianza, perché salvavo il misero che gridava aiuto e l’orfano che non aveva chi lo soccorresse. Scendeva su di me la benedizione di chi stava per perire, facevo esultare il cuore della vedova. La giustizia era il mio vestito e io il suo; la rettitudine era come il mio mantello e il mio turbante. Ero l’occhio del cieco, il piede dello zoppo; ero il padre dei poveri, studiavo a fondo la causa dello sconosciuto. Spezzavo la ganascia al malfattore, gli facevo lasciare la preda che aveva fra i denti.” (Giobbe 29:11-17)
Era ricco, ma era anche giusto; ma soprattutto era un uomo di Dio, che faceva del benessere spirituale suo e della sua famiglia una priorità.
“I suoi figli erano soliti andare gli uni dagli altri e a turno organizzavano una festa; e mandavano a chiamare le loro tre sorelle perché venissero a mangiare e a bere con loro. Quando i giorni della festa terminavano, Giobbe li faceva venire per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva un olocausto per ciascuno di essi, perché diceva: «Può darsi che i miei figli abbiano peccato e abbiano rinnegato Dio in cuor loro». Giobbe faceva sempre così.” (Giobbe 1:4-5)
Ma, un brutto giorno, tutto questo, in una sola mattina, crolla:
“I buoi stavano arando e le asine pascolavano là vicino, quand’ecco i Sabei sono piombati loro addosso e li hanno portati via; hanno passato a fil di spada i servi; io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire. Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire: «Il fuoco di Dio è caduto dal cielo, ha colpito le pecore e i servi e li ha divorati; io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire». Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire: «I Caldei hanno formato tre bande, si sono gettati sui cammelli e li hanno portati via; hanno passato a fil di spada i servi; io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire». Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire: «I tuoi figli e le tue figlie mangiavano e bevevano vino in casa del loro fratello maggiore; ed ecco che un gran vento, venuto dall’altra parte del deserto, ha investito i quattro canti della casa, che è caduta sui giovani; essi sono morti; io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire».” (Giobbe 1:14-19)
Cosa avresti fatto tu, come credente, davanti alla completa rovina della tua vita? Magari hai vissuto, o stai vivendo qualcosa di molto più piccolo, ma ugualmente penoso, e difficile da accettare.
Un posto di lavoro perso. Il non avere abbastanza soldi per vivere. Una malattia tua o di un tuo caro. Una unione che si dissolve. Un lavoro perso o che non arriva. La solitudine. L'incomprensione. Cosa fai?
Tutti noi abbiamo una nostra lista, vero? E se ce le raccontiamo, vedrete che prima o poi, saremo tentati di “misurare” le nostre liste di dolori con quelle degli altri, per scoprire o che il male altrui è più grande ed esserne confortati, o è più piccolo, e aspettare che siano gli altri a confortarci.
Circa dieci anni fa stavo rientrando a casa dall'allenamento di rugby, tutto allegro e pimpante, e, nel tragitto verso casa, provai a telefonare a mia moglie Janet per chiedergli qualcosa, ma trovavo costantemente occupato.
Arrivai a casa, dimostrandomi irritato dal fatto che lei fosse rimasta al telefono per tutto quel tempo, impedendomi di parlagli. “Marco – mi disse – ero al telefono con mia sorella Chris... Ha un tumore... aggressivo... terzo stadio... incurabile.”
Sapete, la tentazione in questi casi è quella di dire: ”Perché a lei?"
Qualche sera prima a rugby, avevo ascoltato lo sfogo di un amico il cui matrimonio era in crisi; temeva di essere abbandonato dalla moglie e forse temeva ci fosse un altro uomo di mezzo: “Marco, la mia vita finisce, se mia moglie mi lascia: perché doveva capitare a me?”
Il problema del mio amico, con un matrimonio sull'orlo del baratro, diventava NULLA in confronto al tumore terminale di Chris.
Vi ricordate l'esempio dell'inizio, vero? Quando al negozio non ho un metro con me uso qualcosa di cui conosco la misura per misurare l'altra cosa che ho in mano. Anche col dolore succede lo stesso.
Per misurare quello degli altri, prendo come riferimento il mio, lo avvicino, lo sovrappongo per scoprire se è più o meno grande del mio. “Vediamo chi ha la sofferenza peggiore. Chi vince può lamentarsi. Chi perde sopporti e stia zitto perché se la cava più facilmente dell'altro” Questa si chiama “teologia del dolore comparato”.
All'amico col matrimonio in crisi avrei voluto dire: “Vieni un momento con me e guarda cosa sta passando mia cognata. Lascia che ti mostri com'è la vera sofferenza". Ma l'amico aveva una sua prospettiva, io la mia, e nessuno dei due sarebbe stato meglio misurando un dolore sull'altro.
Ma qualche giorno dopo, sempre all'allenamento di rugby, seppi che uno dei giocatori della prima squadra aveva perso il bambino tanto atteso per una leucemia fulminante. Lo cercai per dargli un abbraccio e dirgli... cosa? Cosa avrei potuto o dovuto dire in quel momento?
Comparare la mia situazione di fronte alla sua sofferenza? “Il tuo dolore è più grande del mio, che perdo SOLO la cognata.”? Non lo dissi, ma lo pensai. “Marco – mi disse piangendo – tu sei pastore... Perché a me?”
Se avvicinavo i tre dolori, quello di una cognata terminale, di un matrimonio finito, e di un figlio nato da poco e morto, chi avrebbe vinto tra noi? Chi avrebbe avuto ragione di lamentarsi di più e chi di essere consolato per aver “vinto la gara” rispetto agli altri?
Il problema è che, la teologia del dolore comparato, non funziona. Questo Giobbe lo sapeva, e, da uomo di Dio, saggio, ce lo mostra:
“Allora Giobbe si alzò, si stracciò il mantello, si rase il capo, si prostrò a terra e adorò dicendo: «Nudo sono uscito dal grembo di mia madre e nudo tornerò in grembo alla terra; il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore». In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nessuna colpa.” (Giobbe 1:20-22)
La frase che ricorre de volte nel libro è “Non peccò” Giobbe non pecca, non addebita il male a Dio e “compara” il suo male a nessun altro, ma dice una cosa ben più saggia:
“Io sono nato nudo, senza nulla, e quando morirò sarò nudo ancora, senza nulla. Tutto quello che c'è in mezzo non è mio, ma mi è dato. E se non è mio, è di chi lo ha creato, e me lo ha concesso in comodato d'uso gratuito, non perché sono “più fico di altri”, ma perché così è. Qualunque cosa accada, confido nel Signore per la mia vita.”.
Non lo sfiora l'idea di un Dio malvagio che lo sta punendo, e neppure la teologia del dolore comparato:
“Sua moglie gli disse: «Ancora stai saldo nella tua integrità? Ma lascia stare Dio e muori!» Giobbe le rispose: «Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?» In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.” (Giobbe 2:8-10)
La parola tradotta con “lascia stare” (in altre versioni è tradotta con “maledici Dio, benedici Dio, bestemmi Dio, rinuncia a Dio) è ְבָָרַך ḇaraḵ, il cui primo significato è “inginocchiarsi”. Giobbe è arrabbiato, e la chiama “stolta” e non capisce che la moglie gli sta suggerendo la giusta visione del problema: “Giobbe, inginocchiati a Dio, perché con tutto quello che ti è accaduto Dio c'entra poco o niente”.
Ritorniamo alla nostra “misurazione”: se nulla è mio su questa terra, se tutto mi è stato dato “in comodato d'uso gratuito”, se non mi sono “meritato” niente, ma tutto è un dono, cosa sto a misurare cose non mie? Se fosse mio potrei dolermene e bestemmiare per quel che m'è stato tolto ma siccome non è mio, debbo solo accettare che la vita è così. Non ci sono dolori “comparabili”, e comparare i dolori non mi aiuta per nulla ad affrontarli.
Questo significa che non devo chiedere a Dio che intervenga? Assolutamente no: Gesù stesso dice:
“Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova, e sarà aperto a chi bussa. Qual è l’uomo tra di voi, il quale, se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra? Oppure, se gli chiede un pesce, gli dia un serpente? Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a quelli che gliele domandano!” (Matteo 7:7-11)
Allora, se siamo retti, e non rinneghiamo il Signore non ci accadrà nulla di brutto, vero? Se leggete il libro vedrete che, ad un certo punto Dio risponderà proprio a Giobbe dicendogli che l'uomo non potrà mai capire perché succedono le cose La natura del mondo è una natura caduta, il male accade; fa parte del gioco.
Tutto dipende se viviamo per quello che abbiamo credendolo “nostro” o se viviamo utilizzando quello che abbiamo sapendo che eravamo nudi e nudi torneremo al Padre.
Dipende, anche qui, da cosa stiamo misurando, oltre al male.
Come misuriamo la nostra vita? Misuriamo la nostra ricchezza o la mancanza di essa. La nostra salute, o la mancanza di essa. Misuriamo chi siamo e chi non siamo.
Paolo stesso, ad un certo punto della sua vita si mise a misurarla e vide che sarebbe stata meglio senza un determinato problema, una “spina nella carne”... e chiese gli fosse tolta. Conoscete la risposta di Dio, vero?
“E perché io non avessi a insuperbire per l’eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me; ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me.” (2 Corinzi 12:7-9)
La risposta non è “No”. La risposta è: “Non misurare ciò che hai o che non hai, misura la quantità di grazia che ti sto dando, e, credimi, quella è più che sufficiente.”
Giobbe e Paolo si fidavano, nonostante i dolori, le sofferenze e i “perché proprio a me?”. . Si fidano perché non misuravano la loro vita in base a ciò che avevano.
Non sono caduti nella trappola della teologia della sofferenza comparata. Una sofferenza comparata in cui misuriamo la vita in base a ciò che abbiamo o che che ci è stato tolto rispetto ad altri.
Jonnie Erickson Tada è tetraplegica e lo è da quando aveva 18 anni quando si è tuffata in mare e si è rotta il collo in acque poco profonde. Ora ha 70 anni. Una volta le è stato chiesto: "Cosa dirai a Dio quando lo vedrai?" La sua risposta è stata: "Ripiegherò la mia sedia a rotelle, la consegnerò a Gesù e dirò: 'Grazie, ne avevo proprio bisogno'".
Perché misuriamo “male”? Nello sbagliare misurazione, molto ci mettiamo del nostro, ma il libro di Giobbe ci dice che c'è qualcuno che ci aiuta in questo:
“Il Signore disse a Satana: «Hai notato il mio servo Giobbe? Non ce n’è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male». Satana rispose al Signore: «È forse per nulla che Giobbe teme Dio? Non lo hai forse circondato di un riparo, lui, la sua casa e tutto quel che possiede? Tu hai benedetto l’opera delle sue mani e il suo bestiame ricopre tutto il paese. Ma stendi un po’ la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia».” (Giobbe 1:8-11)
Fondamentalmente Satana sta dicendo: “Toccagli quello che ha, e lui misurerà la sua vita su ciò che gli manca non sul suo rapporto con te.”
Il nemico è sempre l'autore del male? No. Talvolta lo è, molto meno di quanto si pensi. Ma è SEMPRE una cattiva voce che, quando il male arriva, e lui magari quella volta non c'entra niente, ti fa prendere le misure sbagliate; ti sussurra “Dio non ti ama”, “Dio ce l'ha con te”, “Dio non esiste”.
Capiamoci, Satana non è interessato a ciò che abbiamo o non abbiamo. Non gli importa se abbiamo una macchina nuova di zecca o una vecchia carriola. Non gli importa se siamo sani o malati. Non gli importa se siamo poveri o ricchi. Anche lui sa che tutto questo è temporaneo, ed è per un breve tempo.
A Satana interessa il lungo termine; l'eternità. Per questo. vuole che tu distolga gli occhi da Dio e vuole che ti concentri solo su te stesso, su ciò che hai o che non hai, per portarti lontano dal Padre.
Satana vuole che tu dimentichi il quadro generale e ti metta a guardare ciò che è insignificante. Il quadro generale è questo:
“Cercate prima il regno {di Dio} e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in più.” (Matteo 6:33)
Cosa stai misurando, nella tua vita, adesso? Stai cercando di vedere se i tuoi problemi sono più grandi o più piccoli di quelli degli altri, per trarne conforto o per cercare di essere confortato dagli altri?
Oppure stai misurando quello che hai, o che non hai, pensando che è quella la cosa importante della tua vita?
Se in Cielo ci fosse oggi un colloquio come quello che leggi in Giobbe, cosa direbbe Dio di te?
«Hai notato il mio servo (metti il tuo nome) ? Non ce n’è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male»
Vorresti essere nominato? Vorresti essere nominata? La fedeltà, alla fine, pagherà Giobbe:
“Quando Giobbe ebbe pregato per i suoi amici, il Signore lo ristabilì nella condizione di prima e gli rese il doppio di tutto quello che già gli era appartenuto.” (Giobbe 42:10)
Quando accadrà per te? Non posso dirtelo, non lo so; forse qua in terra, ma di sicuro in Cielo.
“Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore”. (Matteo 25:23)
Cosa stai misurando? Le tue sofferenze comparate, o le benedizioni del Regno che Dio ti assicura attraverso Gesù?
Preghiamo.
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